martedì 16 dicembre 2014

Intervento di Michele Beltrami a Castelletto Ticino

CASTELLETTO TICINO
RICORDO DEI PARTIGIANI FUCILATI DAI FASCISTI AL PORTO
1° NOVEMBRE 1944 - 1° NOVEMBRE 2014
intervento di Michele Beltrami
 "Avrei dovuto essere qui con voi il 25 aprile scorso, ma ho dovuto con mio grande rammarico rinunciare, promettendo però che sarei venuto il 1° novembre. Eccomi quindi in questa piazza, dopo essere stato il 24 ottobre a Novara a ricordare gli otto patrioti che fra il 17 e il 24 ottobre 1944 furono massacrati dai fascisti. Memoria quindi di due eventi tragici.
Ma essere qui a Castelletto mi permette di condividere con voi un ricordo lieto, il ricordo del vostro concittadino, del vostro e nostro Albino Caletti, il mitico “Capitano Bruno”. Un ricordo commosso, che è simboleggiato da una piccola scatola nelle quale conserviamo una ventina di distintivi dell’URSS che il capitano Bruno anno dopo anno donava a nostro figlio Matteo.
Un grande affetto aveva il Capitano Bruno per tutta la nostra famiglia. La famiglia del “Capitano” a fianco del quale aveva combattuto, con il coraggio e la lealtà che sempre contraddistinguevano il suo agire. Fu proprio per la fiducia che il “Capitano” riponeva in lui che gli fu affidata la missione di recuperare il primo lancio destinato alla formazione, lancio che arriverà proprio quel tragico 13 febbraio. Nel libretto “Tre volte trent’anni” che celebrava i 90 anni di Bruno si legge: Il non essere stato presente alla battaglia di Mégolo lascerà in Bruno il dubbio che qualcosa avrebbe potuto andare diversamente quel giorno al Cortavolo. Se fossi stato presente (sono le sue parole) avrei cercato di dissuadere Beltrami dall’accettare lo scontro … ma sarei poi rimasto al suo fianco come hanno fatto gli altri, caduti con lui.
Il libretto mi fu donato dallo stesso Bruno con la dedica Caro Michele e fratelli un piccolo ricordo di un partigiano del cap. Beltrami. Non è un piccolo ricordo, ma un prezioso ricordo di un grande uomo, di un grande combattente per la libertà.
Ma bisogna dire che, oltre ad Albino Caletti, furono molti (quasi 120) i cittadini di Castelletto che presero parte alla Guerra di Liberazione, sia come partigiani combattenti, sia come membri del CLN. E Castelletto divenne, come testimoniò il vostro concittadino Arturo Lorenzini, “un centro importante, sia per l’invio di giovani nelle formazioni di montagna, sia per informazioni, viveri e denari che raccoglievamo per il sostegno della lotta armata”.
Fra i castellettesi caduti vorrei in particolare ricordare Dario Sibilia, il cui nome non compare accanto a quelli dei partigiani caduti. Era un diciottenne allievo dell’Accademia Navale, che l'8 settembre con altri 8 compagni di accademia raggiunse il rinato Esercito Italiano nel quale combatté e morì nella terribile battaglia di Montelungo l'8 dicembre 1943. Mi colpisce la giovane età: era coetaneo di Gaspare Pajetta che combatté e morì a Mégolo insieme al papà. Due “giovani come voi” come diceva Calamandrei parlando agli studenti milanesi.
Non erano invece di Castelletto i cinque partigiani che vennero fucilati 70 anni fa in questo luogo e dei quali è comunque bene ripetere ogni volta i nomi, sottolineando l’età, e onorare la memoria:
veniva da Vigevano Giovanni Barbieri, 44 anni
da Torino Teresio Clari , 30 anni
da Milano Ernesto Colombo, 18 anni
da Invorio Sergio Gamarra, 19 anni
da Bogogno Luciano Lagno, 23 anni
e da Taino Carlo Boca, 17 anni, che all’ultimo fu graziato
Erano sei partigiani, tre giovanissimi. Si trovarono a combattere in queste zone e, nel corso di un rastrellamento nel Basso Vergante, furono catturati e rinchiusi nel carcere di Arona, dove subirono percosse e sevizie e alla fine furono condotti qui per essere fucilati davanti alla popolazione di Castelletto, costretta ad assistere al macabro spettacolo. Persino i passeggeri dei treni in sosta vennero appositamente fatti scendere perché pur’essi fossero spettatori.
L’assassinio nelle piazze e nelle vie delle città, e comunque nei luoghi abitati, era l’operazione preferita dai capi fascisti “perché, sono parole di Vezzalini, i morti fanno spettacolo, la popolazione deve vedere …”. In particolare doveva vedere e rabbrividire la popolazione di Castelletto, la cui ostilità verso i fascisti e quindi anche verso gli occupanti nazisti si era sviluppata ed era cresciuta fino a concretarsi in svariate azioni di sostegno delle formazioni partigiane.

L’assassinio in pubblico avveniva per vendetta o meglio per rappresaglia. I fucilati, i massacrati non erano quasi mai i diretti responsabili delle sconfitte o delle perdite subite dai fascisti. Non lo erano i massacrati di Novara del 24 ottobre 1944; non lo erano i fucilati di Castelletto Ticino, che non c’entravano nulla con la fucilazione da parte dei partigiani dell’ ufficiale della "X MAS" Leonardi, avvenuta il 29 0ttobre.
Quanto avvenne qui 70 anni fa voi lo sapete, fa parte della memoria di Castelletto, è documentato, vi è stato più volte narrato. Ed è giusto così, perché, anche se i fucilati non erano di Castelletto, il luogo e il modo con cui questa fucilazione venne eseguita dimostra la volontà dei fascisti, in particolare dell’Ungarelli, di offendere e intimorire proprio Castelletto, di ferire Castelletto.
A fronte della vigliaccheria e della ferocia dei fascisti sta il coraggio e la dignità dei condannati che, come scrive il Massara, “Allineati di fronte alla popolazione e al plotone d’esecuzione intonano con voce ferma la canzone partigiana ‘che importa se ci chiaman banditi, il popolo conosce i suoi figli’”. Il giovanissimo Carlo Boca, che l’Ungarelli decide all’ultimo di graziare, intimorito dalla reazione della popolazione, corre ad abbracciare i suoi morituri compagni e a forza i militi lo allontanato da loro, per poi riportarlo nel carcere di Arona, dal quale riuscirà a evadere prima della Liberazione.
Lo stesso coraggio e la stessa dignità si ritrovano nella lettera che Sergio Gamarra scrive alla madre poco prima di essere fucilato:

Cara mamma,
oggi è giunta la mia ultima ora ma non mi importa di morire. Perdonami se ho mancato, se sono andato via senza il tuo permesso, ma muoio contento come un buon cristiano e un vero italiano.
Salutami tutti gli amici e parenti e i vicini. Non arrabbiarti con nessuno.
Ricevi un grosso bacio e così pure ai fratellini e alla zia Nenè.
Tuo per sempre
Sergio

Per coincidenza proprio nella stessa data vengono fucilati da un plotone di fascisti nel fossato della fortezza del Priamar a Savona sei partigiani (anche qui sei condannati!), tre uomini e tre donne. Una di queste, Paola Garelli “Mirka” scrive una lettera alla figlia:

Mimma cara,
la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre gli zii che t'allevano, amali come fossi io. Io sono tranquilla.
Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonna e gli altri, che mi perdonino il dolore che do loro.
Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio.
Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandoti.
La tua infelice mamma

Sergio Gamarra, 19 anni, scrive alla mamma, Paola Garelli, 28 anni, scrive alla figlia. Entrambi chiedono perdono per il dolore provocato, Sergio alla mamma, Paola a tutta la famiglia. Ma entrambi sono consapevoli di aver fatto la scelta giusta e vanno a morire sereni.
Sorprende questa comunanza di sentimenti fra due persone diverse per età, per sesso e per origine, che combatterono e morirono in luoghi fra loro distanti.
Sorprende, ma ci fa capire che c’era un denominatore comune, c’erano sentimenti e ideali comuni che muovevano i partigiani, che combattessero in Piemonte, o in Liguria, in Emilia, in o nel Molise, come peraltro testimoniano le lettere dei condannati a morte della Resistenza.
Per questo io credo che ogni volta che in un luogo si ricorda un evento o un caduto sia opportuno ricordare anche quanto accadde in altri luoghi, ricordare altre persone cadute anche distante.
Accostare i fucilati di Castelletto con i fucilati di Savona, leggere insieme le lettere di due caduti, non significa per me sminuire l’importanza di quanto accaduto a Castelletto, ma di contro significa inserire la memoria dei fucilati di Castelletto nella memoria di tutti i caduti per la libertà.
Ricordiamo un evento per ricordarli tutti, ricordiamo un caduto per ricordarli tutti, tutti quei “centomila morti” col sangue dei quali, come diceva Piero Calamandrei, è stata scritta la nostra Costituzione.

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